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view post Posted on 17/12/2019, 09:53
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Scuola e università, manca un miliardo. Fioramonti tentato dall'addio
La Legge di bilancio si chiude con risorse per 2 miliardi invece dei 3 chiesti dal ministro. Assente l'università, pochi milioni per la ricerca. Gli aumenti per il contratto istruzione si fermano a 70 euro lordi invece dei promessi 100. Il titolare del Miur ha sempre detto: "Se non ci sono i soldi mi dimetto"

Edited by carbonatoditallio - 17/12/2019, 10:26
 
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view post Posted on 29/12/2019, 15:51
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Conte: "Separare la Scuola dall'Università. Azzolina ministro dell'Istruzione e Manfredi della Ricerca"
La conferenza stampa di fine anno del premier. "Andare avanti con questo governo". Tra le priorità elencate la riforma della burocrazia e il piano dell'innovazione. "Le regionali non sono un referendum sul governo". E attacca Salvini: "Insidioso il modo in cui interpreta la leadership"
 
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view post Posted on 9/1/2020, 14:20
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Studenti e ricercatori in rivolta: "Serve un miliardo e mezzo per l'università"
Dopo le dimissioni di Fioramonti rimane l'emergenza fondi per assumere i cervelli precari e per il diritto allo studio. Flash mob, assemblee e presidi in oltre dieci atenei

Flash-mob, presidi e assemblee in oltre dieci atenei, da Torino a Lecce. E' il giorno della mobilitazione del mondo universitario: ricercatori (precari) e studenti si faranno sentire oggi reclamando fondi per il reclutamento e il diritto allo studio. Dopo le dimissioni di Lorenzo Fioramonti proprio sulla mancanza di risorse per l'università, il problema rimane.
E se l'ex ministro rivendicava l'assegnazione di un miliardo, che non è arrivato, studenti e ricercatori oggi ne chiedono uno e mezzo per riportare l'università almeno alle condizioni in cui era prima dei tagli della Gelmini: "E' ciò che è stato sottratto in dieci anni agli atenei" spiega Tito Russo, della Flc-Cgil.
La mobilitazione nasce dall'appello dei Ricercatori Determinati di Pisa, un gruppo che ha preso il nome della campagna Adi e Flc-Cgil sul reclutamento, e si è estesa al coordinamento universitario Link.
"Il nostro gruppo è nato a partire da una riflessione sulla riforma del reclutamento - spiega Stefano Cusumano, del gruppo Ricercatori Determinati di Pisa dove è stato fatto stamattina il presidio con lo striscione "Divisi siamo niente, uniti siamo tutto" - questa protesta nasce sui fondi mancati. Ci sono circa 40mila docenti e 60mila precari che reggono l'università, il sistema va rivisto: occorre un aumento dei posti fissi, regolarità nei concorsi e nei finanziamenti alla ricerca. La valutazione sulla ricerca, poi, va completamente cambiata e ci vuole un finanziamnto degno per il diritto allo studio".
"Il 25 dicembre il ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca si è dimesso, in polemica con il mancato ottenimento dei fondi richiesti per il rifinanziamento del comparto scolastico e universitario all’interno della Legge Finanziaria per il 2020 - scrivono i promotori - Uno sguardo alla legge di bilancio è sufficiente a spiegare le ragioni di questo gesto: a fronte di un crollo d’investimento pubblico sull’università di 1,5 miliardi di euro a partire dal 2008, la manciata di milioni stanziati con questa finanziaria suonano come l’ennesima presa in giro. Si tratta di cifre nemmeno lontanamente sufficienti a risolvere le allarmanti criticità delle condizioni di lavoro della ricerca in Italia".
Alla Sapienza i ricercatori e gli studenti si ritroveranno in presidio alle 13.30. "Siamo preoccupati, mancano regole e risorse - spiega Russo - E quel miliardo non c'è. Noi in realtà avevamo chiesto un miliardo e mezzo, un finanziamento necessario al reclutamento universitario e per garantire il diritto allo studio. Questa Legge di Bilancio ha messo meno dello scorso anno".
E' saltato anche il piano straordinario per 1.300 posti da ricercatore di tipo B (il canale che dà l'accesso alla docenza). "Di fatto gli atenei saranno costretti a non fare il reclutamento necessario per risparmiare risorse. E c'è il rischio che finiscano in strada i tanti ricercatori di tipo A in assenza di un piano straordinario: si ritroveranno a 40-45 anni, dopo dieci anni di precariato, senza sapere dove sbattere la testa".
Altro nodo, il diritto allo studio. Pur raddoppiando il fondo, con 16 milioni in più, le risorse sono insufficienti a garantire tutte le borse di studio e i posti alloggio agli universitari idonei: "Ad oggi solo una sparuta minoranza degli studenti iscritti beneficia di una borsa di studio, per tacere della carenza strutturale di residenze e posti letto, rendendo l’università un posto sempre più inaccessibile, anche a causa della spasmodica ricerca di risorse che viene fatta pesare sulle fasce più deboli della popolazione studentesca".
La mobilitazione sotto forma di assemblee e presidi sarà dalle 11 alle 15 in vari atenei: Pisa, Bologna, Trieste, Milano Bicocca, La Sapienza, politecnico di Torino, Bari, Lecce, Perugia, Palermo, Potenza.
"Anche quest’anno - dichiara Camilla Guarino di Link - ci troviamo ad assistere all’ennesima manovra finanziaria che elude completamente le necessità del sistema universitario. E' necessario riaprire immediatamente un dibattito sull’università all’interno di questo Paese".
 
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view post Posted on 9/1/2020, 17:01
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I bilanci attivi degli atenei eccellenti del Nord: autoinvestimenti in formazione, strutture e servizi
Padova inaugura asili nido e Venezia un hub tecnologico per incontrare le aziende, Bologna finanzia tredici corsi di laurea e la Bicocca di Milano progetta un nuovo edificio. Con bilanci in attivo le accademie settentrionali provano a superare la parsimonia di Stato verso l’alta formazione

Nell’università italiana sottofinanziata, gli atenei del Nord – quelli storici e di dimensioni larghe – chiudono bilanci eccellenti. Che consentono loro di investire in docenti (professori emeriti dall’estero, per esempio), corsi di laurea, nuovi edifici, aule cablate. Sono bilanci difficili da riscontrare in buona parte delle facoltà del Centro Italia e del Sud, costrette di conseguenza a una maggiore dipendenza dalla mano pubblica e a politiche espansive più timide.
Le firme dei consigli di amministrazione sui budget per il 2020 sono arrivate a ridosso di Natale, come da prassi consolidate. E dicono, per esempio, che l’Università di Padova, multistruttura che ospita 60 mila studenti, con il bilancio triennale 2020-2022 ha finanziato nuove borse di studio per gli studenti per due milioni di euro (19,5 milioni è l’erogazione complessiva) e investirà 7,5 milioni in infrastrutture d’eccellenza, perlopiù laboratoriali. Mezzo milione di euro servirà a inaugurare aule intelligenti e con 250 mila euro preventivati si consentirà al personale dipendente e precario – docenti, ricercatori e dottorandi - l’iscrizione all’asilo nido per i figli in età. Forme di welfare europeo, ecco, che preludono alla nascita di un nido gestito direttamente dall’università.
Non è che tutto è oro a Padova: il Fondo di finanziamento ordinario, quello di Stato, è fermo (sopra i 300 milioni) da tre stagioni, vi sono incertezze per la conferma di alcuni finanziamenti europei e altri derivanti dalla vendita di brevetti interni, ma la programmazione – l’ateneo mantiene le spese del personale al 69 per cento, abbondantemente al di sotto del limite ministeriale di 80 - e una tradizione alta consentono di spingere comunque in avanti i dipartimenti, anche in tempi di parsimonia statale. Per portare “visiting professor” in ateneo, parliamo sempre di Padova, a bilancio c’è un milione e mezzo di euro e 7,7 milioni serviranno per attivare scambi culturali per gli studenti più motivati.

Alma Mater torna a sostituire chi va in pensione
Il Consiglio di amministrazione dell’Università di Bologna, 85 mila discenti, ha approvato un bilancio 2020 da 745 milioni di euro e previsto investimenti nei prossimi tre anni pari a 244,3 milioni (107,4 sono risorse proprie). Sono cinque i milioni aggiuntivi sull’Ffo statale, che in questa stagione sarà pari a 384,9 milioni di euro. A Bologna, va ricordato, il 55 per cento degli studenti iscritti si colloca all’interno della “no tax area”: uno sforzo notevole per l’Alma Mater. I fondi di sostegno agli studenti (dottorati di ricerca e formazione specialistica medica) crescono di 2,2 milioni euro. E con un incremento delle matricole dell’8,2 per cento, a settembre 2020 saranno attivati tredici nuovi corsi di laurea (magistrale e triennale), tra cui “Advanced Spectroscopy” in Chimica in collaborazione con quattro accademie europee, “Ingegneria dei veicoli elettrici” con l’Università di Modena-Reggio e “Agricoltura sostenibile”. Il rettore Francesco Ubertini spiega che, senza una presenza certa e generosa dello Stato, “nei prossimi due anni non sarà sostenibile il pieno reclutamento da parte degli atenei”, ma conferma che il sistema Bologna gode di buona salute: i finanziamenti per i progetti di ricerca crescono del 47 per cento e l’ateneo può permettersi di sbloccare il turnover dei docenti: chi va in pensione verrà sostituito.

Nuovi laboratori per lo studio della Terra
Milano-Bicocca ha inaugurato il suo Anno accademico con il nuovo piano di sviluppo del campus, che prevede la costruzione di un nuovo edificio a sei piani, l’U10, e la ristrutturazione di una struttura esistente, U19. Nella torre dell’U10 troveranno posto residenze universitarie per 104 posti letto, affacciate su un’area verde. Nel ristrutturato U19 si studierà il futuro del Pianeta: dall’ex centrale a idrogeno nasceranno nuovi laboratori dedicati al monitoraggio geologico ambientale del sistema Terra e al potenziamento delle attività nel settore della produzione di energia elettrica e delle fonti rinnovabili.
Il Piano strategico per i prossimi tre anni dell’Università di Bergamo, 24 mila studenti, annuncia nuovi spazi e nuovi corsi, ma, di fronte a un +15 per cento degli iscritti totali (gli stranieri sono in crescita del 74,5 per cento), il rettore Remo Morzenti Pellegrini e il Senato accademico hanno scelto la strada del numero chiuso – “sostenibile e programmato” – per tutti i corsi di laurea triennali dell’Anno 2020-2021 e per le magistrali della stagione successiva. Un ulteriore freno al richiamo allo studio per la generazione social (https://rep.repubblica.it/pwa/generale/201...osto-230019418/).
Ca’ Foscari, infine. L’università economica e linguistica di Venezia lo scorso 18 dicembre ha inaugurato nell’Aula magna del Dipartimento di Management lo Strategy Innovation Hub. La struttura-incubatore ha l’obiettivo di creare e alimentare una comunità di imprenditori e manager che possa confrontarsi e coltivare idee di innovazione strategica ascoltando il mondo accademico. Le tecnologie dell’hub sono state affidate a Sharp: Ca’ Foscari nutre l’ambizione di indicare al Paese, all’interno della corrente quarta rivoluzione industriale, “un radicale riposizionamento competitivo del suo sistema produttivo”.
 
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L'appello di 200 accademici: "L'università soffoca, disintossichiamola"
Il grido dei professori contro la burocrazia e criteri aziendali applicati alla formazione: "Ricerca e insegnamento da tempo non sono più liberi". Tra i firmatari: Tomaso Montanari, Marco Belpoliti, Alessando Dal Lago e Marco Revelli

Sparita (se mai c'è stata) dall'agenda politica delle priorità del Paese, archiviate in fretta le dimissioni dell'ex ministro Lorenzo Fioramonti che reclamava più risorse, l'università italiana langue. Soffocata dalla burocrazia, "intossicata da una (finta) aziendalizzazione e da meccanismi di valutazione applicati con raro fanatismo" la sintesi che viaggia in un appello firmato da oltre 200 accademici. Il titolo è significativo: "Disintossichiamoci - Sapere per il futuro". Un documento pubblicato su Roars che sta girando negli atenei per raccogliere ancora più adesioni.
Più che un manifesto sul futuro dell'università italiana, è un grido: "Ricerca e insegnamento – è un fatto, eppure sembra un tabù esplicitarlo – da tempo non sono più liberi - si legge - Sottoposta a una insensata pressione che incalza a 'produrre' ogni anno di più, a ogni giro di più, la ricerca è in preda a una vera e propria bolla di titoli, che trasforma sempre più il già esiziale publish or perish in un rubbish or perish. Nello stesso tempo, è continua la pressione ad 'erogare' una formazione interamente modellata sulle richieste del mondo produttivo. La modernizzazione che ha programmaticamente strappato l’università via da ogni torre di avorio ha significato non altro che la via, la 'terza via', verso il mondo degli interessi privati".
E ancora: "Proprio grazie all’imporsi di queste logiche di mercato, la libertà di ricerca e di insegnamento – sebbene tutelata dall’art. 33 della Costituzione – è ridotta oramai a libertà di impresa. Il modello al quale le è richiesto sottomettersi è un regime di produzione di conoscenze utili (utili anzitutto a incrementare il profitto privato), che comanda modi tempi e luoghi di questa produzione, secondo un management autoritario che arriva ad espropriare ricercatori e studiosi della loro stessa facoltà di giudizio, ora assoggettata a criteri privi di interna giustificazione contrabbandati per oggettivi".
I promotori sono Valeria Pinto, professoressa di Filosofia alla Federico II di Napoli, il sociologo Davide Borrelli (università Suor Orsola Benincasa di Napoli), Maria Chiara Pievatolo, docente di filosofia politica all'ateneo di Pisa e Federico Bertoni, che insegna Teoria della letteratura a Bologna. "E' la prima base per proporre - o per tentare almeno di concepire - un altro modello di ricerca e di conoscenza", spiega Bertoni. Tra le firme, quelle di Tomaso Montanari, Alberto Abruzzese, Marco Belpoliti, Alessandro Barbero, Alessando Dal Lago, Marco Revelli, Antonella Riem.
L'appello arriva alla vigilia della terza valutazione nazionale della qualità della ricerca (Vqr) relativa al periodo 2015-2019. Un sistema da sempre contestatissimo, rivisto in alcune linee guida a novembre scorso con il nuovo decreto del Miur. L'Anvur ha appena pubblicato il bando per selezionare i gruppi di esperti valutatori. E l'accademia è in fibrillazione.
Il documento dei 200 è netto sui meccanismi di valutazione della ricerca scientifica: "Si tratta di numeri e misure che di scientifico, lo sanno tutti, non hanno nulla e nulla garantiscono in termini di valore e qualità della conoscenza. Predefinire percentuali di eccellenza e di inaccettabilità, dividere con mediane o prescrivere soglie, ordinare in classifiche, ripartire in rating le riviste, tutto questo, insieme alle più vessatorie pratiche di controllo sotto forma di certificazioni, accreditamenti, rendicontazioni, riesami, revisioni ecc., ha un’unica funzione: la messa in concorrenza forzata di individui gruppi o istituzioni all’interno dell’unica realtà cui oggi si attribuisce titolo per stabilire valori, ossia il mercato, in questo caso il mercato globale dell’istruzione e della ricerca, che è un’invenzione del tutto recente".
Il tema è cruciale, riguarda la valutazione del sapere, e dunque la destinazione di fondi che orientano la ricerca. "Sempre più spesso oggi si scrive e si fa ricerca per raggiungere una soglia di produttività piuttosto che per aggiungere una conoscenza all’umanità", la denuncia.
Secondo l'analisi contenuta nell'appello, "la logica del mercato concorrenziale si è imposta come vero e proprio comando etico, opporsi al quale ha comportato, per i pochi che vi hanno provato, doversi difendere da accuse di inefficienza, irresponsabilità, spreco di danaro pubblico, difesa di privilegi corporativi e di casta".
I firmatari del documento reclamano un cambio di rotta radicale. "Sono in molti ormai a ritenere che questo modello di gestione della conoscenza sia tossico e insostenibile a lungo termine. I dispositivi di misurazione delle performance e valutazione premiale convertono la ricerca scientifica (il chiedere per sapere) nella ricerca di vantaggi competitivi (il chiedere per ottenere), giungendo a mettere a rischio il senso e il ruolo del sapere per la società". Dunque, "è giunto il momento di un cambiamento radicale, se si vuole scongiurare l’implosione del sistema della conoscenza nel suo complesso. La burocratizzazione della ricerca e la managerializzazione dell’istruzione superiore rischiano di diventare la Chernobyl del nostro modello di organizzazione sociale".
Le vie d'uscita proposte? "Quel che serve oggi è riaffermare i principi che stanno a tutela del diritto di tutta la società ad avere un sapere, un insegnamento, una ricerca liberi – a tutela, cioè, del tessuto stesso di cui è fatta una democrazia – e per questo a tutela di chi si dedica alla conoscenza. Serve una scelta di campo, capace di rammagliare dal basso quello che resiste come forza critica, capacità di discriminare, distinguere quello che non si può tenere insieme: condivisione ed eccellenza, libertà di ricerca e neovalutazione, formazione di livello e rapida fornitura di forza lavoro a basso costo, accesso libero al sapere e monopoli del mercato".
 
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L'università italiana scala il ranking per discipline: otto dipartimenti tra i primi dieci al mondo
Gli atenei italiani crescono ancora nella classifica Qs Ranking 2020 per materie. Bene Bologna e Politecnico di Milano. Oxford scippa il primato alla Sapienza in Classic & Ancient history

Otto dipartimenti universitari italiani sono tra i primi dieci al mondo, due in più rispetto allo scorso anno. Insomma, l'università italiana avanza nei ranking internazionali, mostra le sue eccellenze, nonostante il sistema sia sottofinanziato e la ricerca soffra di mancanza di stabilità e prospettive per i suoi cervelli migliori. A certificarlo è la nuova edizione della classifica mondiale 2020 messa a punto da QS Quacquarelli Symonds stilato per aree disciplinari e materie.
La guida alla performance universitaria in 48 diverse discipline accademiche pone l'Italia al quarto posto come miglior sistema universitario in Europa, superata da Francia, Paesi Bassi e Germania oltre che dalla Svizzera. Tra le eccellenze c'è La Sapienza con il Dipartimento di Storia e Storia Antica: si è classificato al secondo posto nel mondo dietro a Oxford in Classic&Ancient history, perdendo il primato dello scorso anno. Dietro c'è Cambridge, Harvard è nona.
Buone le performance anche del Politecnico di Milano, che è al sesto posto al mondo per Arte e Design, come lo scorso anno: davanti ci sono università inglesi (primo è il Royal College of Art) e americane. Il Politecnico si classifica poi al settimo a livello globale per Architettura facendo un balzo in avanti dall'undicesimo posto del 2019 in una gara guidata dal Mit, seguito dalla Dlft University e dall'inglese Ucl.
L'università di Bologna è il primo ateneo d'Italia per numero di materie presenti (21) nella top 100: un risultato che possono vantare solo 70 università al mondo, osserva il rettore Francesco Ubertini. "L'alta qualità diffusa in tutti i campi del sapere è una caratteristica centrale del nostro ateneo - spiega - questi risultati lo confermano, premiando tanto le competenze, la preparazione e l'impegno dei nostri docenti e ricercatori che i forti investimenti fatti in questi anni".
Tra le 21 discipline dell'Università di Bologna presenti nella top 100 della nuova classifica, 4 rientrano tra i primi 50 posti al mondo: Classics & Ancient History al 19esimo posto, Modern Languages al 39esimo, Agriculture & Forestry al 39esimo e Dentistry al 40esimo. Guardando invece alle macro-aree del sapere, cioè i raggruppamenti tematici delle singole materie, l'Alma Mater è nella top 100 mondiale in tre casi: Arts & Humanities, Social Sciences & Management e Life Sciences & Medicine.

I primi atenei italiani per discipline
Ecco le università che guidano la classifica italiana nelle varie materie (subject). Accanto viene indicata la posizione nel ranking internazionale.
Accounting&Finance - Bocconi (17 posto nel ranking mondiale)
Agricolture&Forestry - Bologna (39)
Anatomy&Phisiology - Padova (39)
Anthropology - La Sapienza (tra 51-100)
Archaeology La Sapienza (8)
Architecture - Politecnico di Milano (7)
Art&Design - Politecnico di Milano (6)
Art&Humanities - Bologna (58)
Biological Sciences - La Sapienza (101-150)
Business& Management studies - Bocconi (7)
Chemistry - Bologna (51-100)
Classics&Ancient History - La Sapienza (2)
Communication&Media studies - Statale di Milano (101-150)
Computer Science&Information systems - Politecnico di Milano (40)
Dentistry - Bologna (41)
Earth&marine Sciences - Padova (101-150)
Economics&Econometrics - Bocconi (16)
Education - La Sapienza (151-200)
Engineering-Chemical - Politecnico di Milano (34)
Engineering-Civil - Politecnico di Milano (7)
Engineering-Electrical - Politecnico di Milano (17)
Engineering-Mechanical, Aeronautical - Politecnico di Milano (9)
Engineering-Mineral - Politecnico di Torino (38)
Engineering&Technology - Politecnico di Milano (20)
English Language & Literature - La Sapienza (101-150)
Environmental Sciences - Politecnico di Milano (51-100)
Geography - La Sapienza (51-100)
History - European University Institute, La Sapienza, Padova e Bologna (51-100)
Law - European University Institute, La Sapienza e Bologna (51-100)
Life Sciences & Medicine - Statale di Milano (83)
Linguistics - Bologna (101-150)
Material Science - Politecnico di Milano (51-100)
Mathematics - Politecnico di Milano (51-100)
Medicine - La Sapienza (51-100)
Modern Languages - Bologna (39)
Natural Sciences - La Sapienza (69)
Nursing - La Sapienza (51-100)
Pharmacy & Pharmacology - Statale di Milano (36)
Philosophy - Statale di Milano (51-100)
Physics&Astronomy - La Sapienza (35)
Politics & International Studies- European University Institute (31)
Psychology - La Sapienza (51-100)
Social Sciencse&Management - Bocconi (16)
Sociology - European University Institute e Bologna (51-100)
Statistics - La Sapienza (51-100)
Theology&Religious studies - Torino (51-100)
Veterinary Science - Statale di Milano (45)

Peggiorati i giudizi sui programmi universitari
Se 67 dipartimenti hanno migliorato la loro posizione, non va meglio nell'analisi delle singole discipline: dei 431 programmi che la ricerca ha classificato, 86 quest'anno sono scesi nella classifica. "Complessivamente la traiettoria italiana è leggermente in discesa - spiega Jack Moran di Quaquarelli Sysmonds - è dietro quella degli altri 26 Paesi dell'Ue. Dei 2013 programmi universitari analizzati nell'Ue, il livello è quasi stabile con 562 migliorati e 561 peggiorati mentre per quanto riguarda l'Italia sono più i programmi in discesa (86) che quelli in salita (67)".

L'università italiana vista dai datori di lavoro
Il QS World University Rankings by Subject si basa su quattro indicatori, declinati con pesi diversi per ognuna delle discipline considerate: Academic Reputation, ovvero la reputazione degli atenei nel mondo accademico; Employer Reputation, cioè le valutazioni dei datori di lavoro sulla preparazione dei laureati che vengono assunti; Citations per Paper, ovvero l'impatto scientifico della ricerca prodotta dagli atenei nei diversi settori; H-index, un indicatore che valuta sia l'impatto scientifico ottenuto che la quantità dei prodotti di ricerca realizzati.
Le università italiane hanno dato ottime prestazioni quando si tratta di garantire che i loro laureati siano apprezzati dai datori di lavoro. L'Italia è infatti al secondo posto in Ue, superata solo dalla Francia, per punteggio dato dai datori di lavoro ai laureati italiani. Dal 2016, la quota dei migliori punteggi di reputazione dei datori di lavoro raggiunti dalle università italiane è aumentata di oltre il 50%: dal 2,2% nel 2016 al 3,5% quest'anno. Per garantire ulteriori progressi, le università italiane dovrebbero continuare a porre l'occupabilità dei laureati al centro della loro missione.
Per quanto riguarda la reputazione accademica, l'Italia scende al quinto posto nell'Ue: è stata superata da Francia, Paesi Bassi, Germania e Svezia. L'Italia scende al settimo posto anche per impatto sulla ricerca, superata da Paesi Bassi, Germania, Svezia, Belgio, Danimarca e Francia e scende anche per in ambito di produttività della ricerca: è terza dietro ai paesi Bassi e alla Germania.
 
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QS World University Rankings, la scalata delle università italiane
Vola il Politecnico di Milano, fa un balzo in avanti Bologna, la Sapienza rientra nelle top 200. La diciassettesima edizione della classifica universitaria più consultata al mondo. Ecco come è andata
 
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Università: immatricolazioni in crescita
I primi dati da Bologna e Parma, Cosenza, Catania e Palermo. Il ministro Manfredi: "Non ci sarà il crollo e neppure l'esodo Sud-Nord"

Dice il ministro Gaetano Manfredi che il temuto crollo delle iscrizioni all'università non c'è stato. I dati completi arriveranno a metà ottobre, ma i segnali sulle immatricolazioni - le iscrizioni al primo anno - sono incoraggianti. Anche al Sud. "Abbiamo un aumento delle matricole tra il 5 e il 10 per cento nel Mezzogiorno". In particolare si sta verificando un fenomeno inedito: "Alcuni giovani, che prima cambiavano regione, ora tentano di restare nel territorio di appartenenza. Vale soprattutto per i neo-immatricolati". Il Covid starebbe mitigando la migrazione al Nord dei diplomati.
Il ministro dell'Università ha dettagliato un caso: "A Catania l'incremento delle iscrizioni è del 5 per cento". In generale, Manfredi ha attribuito la buona risposta delle famiglie italiane alle politiche di sconto attuate dal governo: "Abbiamo innalzato la No tax area nelle università al di sopra dei 20-25mila euro, quasi la metà degli studenti in corso non pagano tasse o le pagano in modo estremamente ridotto".
A proposito dell'Università di Catania, il rettore Francesco Priolo ha annunciato, viste le richieste, mille posti in più nei corsi di laurea a numero programmato. L'Università della Calabria annuncia un 60 per cento di preiscritti in più, da 754 a 1.210, per un ateneo che "negli ultimi anni perdeva sistematicamente studenti iscritti", ha detto il rettore Nicola Leone. Dal 2 settembre Unical ha incrementato i posti per le immatricolazioni in dodici corsi di laurea. Per Comunicazione e Dams, Economia aziendale, Filosofia e storia, Scienze dell'educazione "tutti i candidati che hanno partecipato al concorso hanno ora la facoltà di immatricolarsi". L'aumento dei posti c'è stato anche per Chimica e Tecnologia farmaceutiche, Farmacia, Informazione scientifica del farmaco e dei prodotti per la salute, Lettere e Beni culturali, Lingue e Culture moderne, Scienza della nutrizione, Scienze e Tecnologie biologiche, Servizio sociale.
L'Università di Palermo segnala l'incremento degli iscritti, oltre 3.300, ai test di ingresso che si sono svolti nel mese di luglio: "Questo ci fa ben sperare nella conferma della crescita dell'attrattività del nostro Ateneo", sottolinea il rettore Fabizio Micari.
Salendo al Nord, anche l'Ateneo di Parma indica come per i nove corsi di studio ad accesso cronologico ci siano stati "ottimi riscontri". L'ufficio comunicazioni spiega: 2.504 persone hanno presentato domanda alla chiusura del primo bando a fronte di 1.387 posti messi a disposizione. I corsi erano: Biologia; Biotecnologie; Chimica; Chimica e Tecnologia farmaceutiche; Costruzioni, Infrastrutture e Territorio; Farmacia; Scienze motorie, Sport e Salute; Scienze e Tecnologie alimentari; Scienze zootecniche e Tecnologie delle produzioni animali. "I dati sono confortanti e fanno ben sperare sull'andamento complessivo delle immatricolazioni", ha commentato la pro rettrice alla Didattica Sara Rainieri.
Infine, l'Università di Bologna conferma la sua capacità attrattiva internazionale. A fine luglio, il corso di Pharmacy contava 261 domande da parte di studenti internazionali contro le 14 arrivate, allo stesso periodo, lo scorso anno. Per Artificial Intelligence le candidature di studenti stranieri erano state 665 contro le 362 dello scorso anno (+84%). Per il corso di Digital Humanities and Digital Knowledge i candidati internazionali a fine luglio erano 188 contro 130 (+45%). Per Advanced Spectroscopy in Chemistry le domande sono raddoppiate: 120 contro le 60 dello scorso anno. Gli studenti internazionali iscritti all'Alma Mater sono più di 6.500 e hanno raggiunto l'8,5% delle immatricolazioni complessive.
Sull'andamento rinfrancante delle iscrizioi universitarie Luigi Gallo, Cinque Stelle, relatore alla Camera del provvedimento No tax area, ricorda: "Nel Decreto rilancio abbiamo stanziato 1,4 miliardi per le università italiane, 300 milioni solo per il diritto allo studio".
 
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Università, le sfide della ripartenza: i fondi del Pnrr, il ritorno in aula e una nuova offerta formativa
Gli ateni italiani sono chiamati a ripensare il proprio modello non soltanto per l'arrivo di 15 miliardi ma anche per rivedere investimenti sulla ricerca e il diritto allo studio. L'Italia resta al fondo della classifica europea per laureati e l'ascensore sociale non si sblocca

L'università italiana ha retto all'onda d'urto della pandemia. La sfida viene ora. E si gioca su più fronti: il ritorno nelle aule degli studenti, la tenuta (e crescita) delle immatricolazioni e dei laureati, il ripensamento più in generale della formazione, l'investimento sulla ricerca e il diritto allo studio. All'orizzonte ci sono gli oltre 15 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza: investimenti che mai l'università ha conosciuto prima, ma che non potranno risolvere tutto.
“Non ci si potrà illudere che tutto tornerà come prima, la cesura della pandemia ha segnato un prima e un dopo che dobbiamo costruire” osserva Ivano Dionigi presidente di AlmaLaurea. Il consorzio interuniversitario ha di recente fotografato la condizione occupazionale dei laureati e il loro profilo. Ma lo snodo, secondo Dionigi, sta nella “grande opportunità che ha l'università oggi di sanare le cicatrici e i buchi culturali dei ragazzi. Lo smartphone e il pigiama hanno fatto dei danni e noi ora abbiamo una responsabilità supplementare di fronte al Paese: dire alle famiglie e far capire ai ragazzi che devono tornare perchè l'università è incontro”. Lo ricordava Umberto Eco: “L’università è ancora il luogo in cui sono possibili confronti e discussioni, idee migliori per un mondo migliore, il rafforzamento e la difesa di valori fondativi universali”.

L'università e la sfida del digitale
Ferruccio Resta, presidente della Crui e rettore del Politecnico di Milano, vede l'urgenza di immaginare l'università quando la crisi sanitaria sarà terminata. “Vedo due sfide importanti. Trovare un equilibrio tra la didattica in presenza, fatta di relazione, e la valorizzazione degli strumenti digitali. E aprire il perimetro dell'offerta formativa con la contaminazione tra i saperi, tra le scienze sociali e tecniche. Un ingegnere oggi deve dare risposte a sfide sociali e problemi complessi che sempre più spesso coinvolgono anche la sfera etica delle tecnologie”.
Gli atenei statali temono la concorrenza delle università online, che sarà sempre più agguerrita, e l'ingresso dei colossi del digitale nella formazione? “Il mondo digitale – ragiona Resta – sta creando competitor, la formazione terziaria è già un business. Ma le università formano persone, prima ancora che distribuire competenze. E la formazione universitaria si ha nel confronto e nella presenza, è un percorso di crescita in cui i ragazzi escono dalla comfort zone delle scuole superiori”.

L'università e diritto allo studio
Oltre alla ripartenza del lavoro, il presidente della Crui teme che le famiglie impoverite dalla crisi rinuncino a dare un futuro ai figli sostenendoli negli studi universitari. “Noi dobbiamo combattere con forza questo fenomeno, occorre investire sul diritto allo studio e aumentare del 10% la spesa universitaria con un intervento non solo nel Fondo ordinario (Ffo), ma anche sulla crescita dei docenti per diminuire il rapporto con gli studenti nelle aule”.

Matricole e laureati
Il temuto calo delle matricole non c'è stato. L’ultimo anno, il primo dell’era Covid, ha visto un evidente incremento delle immatricolazioni (+14 mila rispetto al 2019/20). Ma ancora L'Italia sforna pochi laureati, siamo sempre penultimi in Europa, davanti alla sola Romania che tuttavia nell'ultimo anno ha incrementato il numero dei suoi laureati di un punto percentuale. Nel Rapporto Alma Laurea su 291mila laureati del 2020 emerge che nel 26% dei casi sono giovani del Sud che sono andati a studiare al Nord. Aumenta la quota di chi ha almeno un genitore laureato (dal 26,5 al 30,7%) e di chi conclude gli studi in corso (58%). Ma le disuguaglianze riguardano ancora le condizioni socio-culturali delle famiglie di provenienza, l'ascensore sociale non si sblocca.
Neolaureati, donne, giovani provenienti dal Sud. Sono le categorie su cui gli effetti della pandemia sono stati più evidenti secondo il Rapporto AlmaLaurea che ha indagato 655mila laurerati. Se infatti la crisi sanitaria non ha compromesso la formazione degli studenti universitari, ha avuto un effetto diretto sull'occupazione: a un anno dal titolo il tasso di occupazione è pari al 69% (-4,9%) tra i laureati di primo livello e al 68% (-3,6%) tra quelli di secondo livello. A pagare il prezzo più alto sono quindi i giovani neolaureati, e la situazione peggiora per le donne (gli uomini hanno il 17,8% di probabilità in più di essere occupati a un anno dalla laurea) e per chi è del Sud (al Nord +30,8% di probabilità di essere occupati a un anno dal titolo). Sui laureati a cinque anni gli effetti della pandemia sono stati, nel 2020, decisamente più contenuti rispetto ai neolaureati: il tasso di occupazione è pari all'88,1% per i laureati triennali e all'87,7% per i laureati magistrali.

La laurea conviene?
All’aumentare del livello del titolo di studio posseduto diminuisce il rischio di restare disoccupati. Secondo l'Istat, nel 2020 il tasso di occupazione della fascia d’età 20-64 è pari al 78,0% tra i laureati, rispetto al 65,1% di chi è in possesso di un diploma. Inoltre, la documentazione più recente Oecd evidenzia che, nel 2018, un laureato guadagnava il 37% in più rispetto ad un diplomato.

Le lauree che danno più lavoro
Informatica e tecnologie (Ict) balzano in testa: il tasso di occupazione a cinque anni dalla laurea è del 97%; segueno i percorsi in Ingegneria industriale e dell'informazione (95%), le magistrali nel settore economico, in ingegneria civile e architettura (91%). In fondo le biennali in ambito letterario e umanistico (77,8%) e in arte e design (76, 6). La pandemia ha fatto crescere il lavoro nel settore medico: +35% per le lauree sanitarie e +17% per Medicina. “Ma con la riforma della pubblica amministrazione e la ripartenza dei concorsi – spiega Dionigi – anche i laureati in Giurisprudenza saranno meno penalizzati”.
 
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view post Posted on 11/7/2022, 14:16
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Bologna, Pavia e le altre: ecco le eccellenze delle università italiane
Nella classifica Censis, Siena e Camerino in testa tra i piccoli. Le famiglie hanno meno disponibilità: iscritti calati del 2,8. L’Alma Mater al top
e controcorrente con più 4% di matricole. Pisa scavalca Firenze. Intervista al direttore del Censis: "Studenti, ribellatevi alla crisi studiando di più"


Era temuto già dopo il primo anno di pandemia ed è arrivato ora: il crollo delle immatricolazioni (-2,8%) nelle università italiane. Significa 9.400 studenti in meno, "la cui decisione di non iscriversi è il portato di criticità congiunturali e di iniquità strutturali, che condizionano l'accesso alla formazione universitaria", scrive il Censis all'uscita oggi della nuova classifica degli atenei italiani. Il ranking 2022-23, consultabile al sito www.censis.it, vede primeggiare, a seconda delle dimensioni, da mega a piccoli atenei, Bologna, Pavia, Siena e Camerino. Una guida alla scelta universitaria, stilata da oltre vent'anni per orientare i diplomati e accompagnata da un'analisi sul sistema accademico. E stavolta a preoccupare maggiormente gli analisti del Censis è il fatto che l'università non sia più vista come ascensore sociale.

Quelli che non si iscrivono
Sono più i maschi delle femmine a decidere di non proseguire gli studi dopo il diploma (3,2 contro 2,6%) e il fenomeno delle mancate immatricolazioni interessa soprattutto gli atenei del Sud (- 5,1%) che perdono 4.900 studenti. Le università del centro calano del 2,9%, quelle del Nord-Ovest del 2,3% e del Nord-Est dello 0,1%. Crollano anche le telematiche (-20%). Il 51% degli studenti mancanti all'appello è nei corsi umanistici, tengono le discipline Stem (-0,95). I rettori, interpellati dal Censis, concordano: pesa l'impoverimento delle famiglie a cui si somma un crescente disagio giovanile post-pandemia rispetto a un futuro che non vedono più. Che la crisi economica abbia avuto un peso nella scelta di non proseguire gli studi dopo la Maturità lo si vede anche dalla classifica: crescono le università che più hanno investito in diritto allo studio.

Bologna guida i mega atenei
L'Alma Mater, che va controcorrente con un +4% di matricole, si conferma prima da 13 anni, seguita da Padova e dalla Sapienza. Rispetto allo scorso anno, Pisa scavalca Firenze, Milano sale al posto di Torino. I punteggi più bassi, con eccezione degli atenei toscani e di Bari, sono soprattutto alla voce servizi: ovvero, mense e alloggi.


Perugia perde il primato
Tra i grandi atenei balza al primo posto Pavia facendo retrocedere dopo un lungo periodo Perugia. Crescono di una posizione l'Università della Calabria e Ca' Foscari, salgono di due posti Milano Bicocca (+13 punti nei servizi per gli studenti) e Cagliari (+10 punti sui servizi digitali). Crolla di nove posizioni Salerno a causa soprattutto del decremento dell'indicatore borse e altri servizi (-28 punti). Stabile Tor Vergata, che è decima; guadagna una posizione Chieti e Pescara. Chiudono Roma Tre, Catania e Messina.

Siena scavalca Trento
Tra gli atenei con 10-20mila iscritti apre la classifica Siena facendo scendere in terza posizione Trento, che era prima. Sale Sassari, grazie a 15 punti in più alla voce borse di studio e servizi. Stabile Trieste che precede Udine (meno due posizioni).

Camerino guida i piccoli
Tra i piccoli rimane prima Camerino, seguita da Macerata. Al terzo posto, avendo scalato tre posizioni grazie all'incremento di 8 e 6 punti sui servizi web e occupabilità, c'è Reggio Calabria. Retrocedono in quarta e quinta posizione gli atenei laziali di Cassino e della Tuscia. Sale l'università della Basilicata, scivola di tre posizioni l'Università del Sannio a causa di 23 punti in meno su borse e servizi.

Parla Valerii: "Il calo delle immatricolazioni preoccupa"
Massimiliano Valerii, direttore del Censis, guarda con preoccupazione al calo delle immatricolazioni. E si rivolge ai giovani: "Siate anticonformisti: studiate perché l'università serve ad avere migliori condizioni di vita e di reddito, ad essere meglio attrezzati a decifrare la complessità del mondo".
Valerii, questa generazione non vede e non ha prospettive all'orizzonte.
"Proprio per questo mi viene da dire ai giovani di non gettare la spugna nello studio vivendolo come un atto di ribellione rispetto a un mondo che non ti dà prospettive. In realtà, questo sarebbe un atto di conformismo. Li invito, al contrario, a non accettare le narrazioni dominanti spesso scoraggianti, lo status quo come fosse un destino predeterminato e ineluttabile. Piuttosto, nonostante tutte le difficoltà, devono far leva sui loro talenti e scegliere la formazione universitaria per darsi maggiori chance nel lavoro e nella vita".
Invece quello che è accaduto quest'anno è il calo delle immatricolazioni: un brutto segnale?
"Il paventato crollo si è verificato ed è preoccupante. Il fenomeno ha un'incidenza maggiore negli atenei del Sud, nelle materie umanistiche e negli atenei non statali perché hanno rette più alte. Tengono invece le discipline scientifiche e i politecnici. Ma non sottovaluterei anche un altro campanello d'allarme".
Quale?
"La maggiore polarizzazione che si può verificare con questa impennata inflattiva: da una parte più giovani che disinvestono negli studi, dall'altra quelli che provengono da famiglie più abbienti che potranno stratificare lauree e master nei loro curriculum. Già per questa generazione di giovani l'ascensore sociale non funziona più, ma se si perpetua e aumenta il divario di classe viene meno del tutto il ruolo dell'istruzione".
Come dovrebbe reagire il sistema universitario?
"È giusto con le risorse del Pnrr sostenere ricerca e innovazione, inserendo gli atenei in network internazionali. Ma attenzione a non usarle solo per moltiplicare i dottorati. Molti atenei sono arretrati sui servizi e le borse di studio. Occorrono invece grandi risorse per agevolare l'accesso all'università".
 
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view post Posted on 23/11/2022, 10:10
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Nella manovra fondi per edifici, supplenti e disabili. Più soldi alle paritarie
Cinquecento milioni sull'istruzione: in linea con i governi precedenti. Gli studenti: “Sono pochi, si investe per l’istruzione solo il 3,5% del Pil”

Ci sono 70 milioni in più per le scuole paritarie, nella manovra del Governo Meloni. Sono soldi che l'esecutivo guidato da Mario Draghi, che a sua volta ha aumentato il finanziamento per le private laiche e confessionali, aveva congelato. Ora il governo di destra, e il suo ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara, li rendono disponibili per il comparto.
Nei due anni di Covid le scuole paritarie sono state sottoposte alla pressione del calo degli iscritti e si stimano mille istituti-indirizzi chiusi nelle ultime cinque stagioni. Va anche sottolineato, tuttavia, che in dieci anni i finanziamenti di Stato alle private sono più che raddoppiati.
Nel 2012 il contributo era di 286 milioni di euro. Nel 2017, governo Gentiloni, salì a 500 milioni. Con Draghi l'assegno statale alle scuole paritarie è arrivato a 556 milioni e quell'esecutivo ha lasciato in sospeso i 70 milioni che ora il governo in carica riporta nell'alveo privato facendo arrivare l'intero finanziamento a 626 milioni di euro.
Con questi 70 milioni previsti dalla prossima Legge di bilancio, il finanziamento dello Stato per ogni alunno che frequenta una paritaria passa da 500 euro a 765.
Nella "manovra di crisi" ci sono, comunque, 500 milioni di euro dedicati all'istruzione italiana: sono previsti aumenti per il Fondo di finanziamento delle istituzioni scolastiche, l'edilizia, storico vulnus, quindi il reclutamento del personale, il pagamento delle supplenze, il trasporto dei disabili (24 milioni) e il contrasto al cyberbullismo.
Non è molto, non consente di aprire una nuova prospettiva per l'istruzione del Paese, ma è in sostanziale linea con la disattenzione storica al comparto degli esecutivi italiani.
Il ministro Valditara, tra l'altro, ha sempre rivendicato petto in fuori l'aver chiuso un contratto di lavoro praticamente al suo insediamento, e in ritardo di tre anni, che prevede aumenti medi lordi per i docenti di 124 euro il mese.
Contro l'ulteriore assegno alle paritarie, per ora, protestano solo gli studenti. In particolare l'Uds scrive: "È inaccettabile che i soldi pubblici vengano investiti per sostenere strutture private invece di rendere davvero accessibili quelle pubbliche.
Nel 2019 il Pil investito nell'istruzione era sotto il 3,6 per cento. Pretendiamo un aumento al 5 cento per raggiungere, sulla scuola, i parametri della media europea. Vogliamo che sia avviata una fase di scrittura e approvazione di una Legge nazionale sul diritto allo studio. Il ministero e il governo hanno dichiarato di volerci ascoltare, che lo facciano".
 
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view post Posted on 6/10/2023, 10:02
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Situazione thread al 6/10/2023 (dal 2/10/2008)
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